ALTRO
Alessandro Baronciani – voce, chitarra
Gianni Pagnini – basso
Matteo Caldari – batteria
Tre album. Al netto della loro concisione, dei tre o quattro anni che li separano l’uno dall’altro, dell’attività concertistica sporadica e dell’invidiabile, gioiosa leggerezza con la quale il disegnatore, il fisico e il programmatore di Pesaro prendono la faccenda, resta comunque un fatto: gli Altro sono un gruppo unico in Italia e probabilmente al mondo, che non ci si può più permettere di trascurare.
Chi fino ad ora lo ha fatto – perché debole di cuore o carente in spirito d’iniziativa – ora ha anche i numeri contro: gli Altro esistono, pulsano, vivono da quasi quindici anni. E dopo tre 45 giri hanno fatto tre album. Come Baustelle e Negazione. Uno in meno di CCCP e Massimo Volume, uno in più di Marta Sui Tubi e Disciplinatha.
Ma soprattutto: in questi quindici anni, con solo un’ora e mezza scarsa di musica e un’attività concertistica sporadica, hanno cementato una vicinanza con il pubblico difficilmente spiegabile tramite i soli mezzi della critica musicale. La portata degli Altro, questo ai più è sfuggito. La loro visione del mondo, e l’abbandono di chi ascolta nel sentirsene parte.
Le loro canzoni le sanno a memoria solo in mille per motivi puramente contingenti, volgari. Ma hanno potenza sufficiente per moltitudini. La loro intensità e la loro sincerità totale luccicano oggi ancor più che nel 1993 dentro la sala prove del parroco, quando il solo concetto di aristocrazia indie-rock italiana diffusa era un incubo nemmeno lontanamente prefigurabile.
Quando esce un nuovo album degli Altro – tre indizi fanno una prova – parte sempre una sorta di consulto per il titolo da dargli. Un consiglio tribale fra membri del gruppo e collaboratori più stretti, concretizzatosi dopo varie telefonate in una lista piuttosto lunga, arrivata via mail una sera di fine estate. Trentuno parole, due delle quali con piccola variante. Nessuna convincente abbastanza per il Difficile Terzo Album. Una voce: perché non chiamarlo proprio così, Difficile? Perfetto! Poi un’altra voce, preso atto del silenzio da Pesaro e della presenza in lista di alcune parole e dei loro contrari: perché non Facile, allora?
Sul serio. Le canzoni degli Altro sono all’apparenza difficili, aspre, estranee ai canoni generalmente accettati anche per i generi più estremi. Sono solo in tre e vanno fuori tempo, cazzo! Ma sono anche facili, nel senso più puro del termine. Dove le metti stanno. Vanno sempre bene. Danno una mano in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà. Spiegano, illuminano. A volte potrebbero sembrare fatte di poche parole scelte a caso, e invece mettono piccole didascalie molto economiche sotto ogni nostro momento, dritto o storto. Soprattutto storto, di solito.
E in ognuna di esse c’è sempre anche solo un frammento che sa di epifania.
Fate la prova.
Comincio io?
“Vorrei sapere dove siamo passati/Vorrei sapere perchè si fermano i treni/Vorrei sapere se c’è stato un passato” (Canzone di Andrea, che dice l’amico e collega Maurizio Blatto è “come avere intitolata una strada”);
“Non è scontato pensare che ci sei” (Federico);
“Dove è andato, perché” (Ramirez);
“Metti che lei, metti la storia con lei” (Barnaba);”Quello che hai preso, che hai perso, che sei” (31/12);
“Al telefono passa il tempo/Ma capisco cosa chiedi” (Chiuso);
“Un’altra volta, un altro giorno/Una stazione, una partenza” (Stefano, che chiude il disco, e saranno le chitarre, la collocazione o il fazzoletto ormai zuppo ma pare Ravenna).
Oppure Quadro A. dall’inizio alla fine, impressionante fino al minimo dettaglio, come se ti avessero piazzato una telecamera nascosta alle calcagna.
Oppure momenti in cui la rivelazione personale coincide con flash di umana (im)perfezione universali, pronti a contendere a quello struggente, candido “Io credevo che noi fossimo uno/Soltanto uno” del vecchio inno Pitagora (o agli “Oh! Oh! Oh!” di Minuto) il titolo di momento-Altro supremo: “Ora che tutto è diverso da prima”, nell’acustica Smettere; quel “La città” detto in quella maniera in Colpito, due parole con un mondo intero dietro; l’incipit di Passato soprattutto (“Ho fatto la pace col mio passato/Ho preso un libro sui templari”), gli Altro più narrativi mai sentiti, roba che ferma il traffico, e in bocca a chiunque altro sarebbe insostenibile.
Sono cose che sembrano scritte apposta per noi, solo per noi, e non capita spesso. Non a caso sono venuti fuori due volte e ora tre i Massimo Volume. Là tante parole, qui pochissime, analogo l’effetto.
Era anche nella lista dei trentuno-più-due, Effetto.
Alla fine, il disco si intitola invece Aspetto. Che nella lista dei trentuno-più-due non c’era, ovviamente. Sostantivo maschile. Oppure verbo, prima persona singolare. Tempo presente che porta in sé anche il futuro. Persino lui sembra scritto apposta.
Andrea Pomini
Torino, ottobre 2007
PS – La musica? Serve saperlo? È un insieme di punk, post-punk e pop che fa genere a sé. È musica semplice, ma nessuno di noi riuscirebbe a farla uguale. Lasciamo parlare Alessandro Baronciani. Il disegnatore, esatto, ancora una volta superatosi nel fornire alla visione di cui sopra il suo indispensabile, ed incantevole, lato grafico.
“Prodotto era più veloce e semplice. Aspetto ha più chitarre ed è più caotico. Forse ha molte “atmosfere” rispetto a Prodotto. È più vicino a Candore, ma è registrato meglio. Mooolto meglio. Ci piaceva l’idea che fosse shoegaze, ma con il cantato punk.”
“Il disco è venuto fuori con Matteo (Caldari, batterista che ha sostituito Simone Sideri – ndr), un po’ alla volta. Quando abbiamo iniziato a suonare, i primi pezzi che buttavamo giù erano tristissimi. Molte canzoni che provavamo non sono mai arrivate al disco. Abbiamo scelto di lavorare con Rico degli Uochi Toki perchè ci eravamo trovati molto bene con lui come fonico in tour. Preferiamo andare con Rico che risolve i problemi con gli amplificatori da backline in affitto, piuttosto che girare con la macchina piena di amplificatori. Ci piace che capisca cosa diciamo.”
“Ad aprile siamo riusciti a trovare una settimana per andare a registrare nel suo studio a Pontecurone. La nostra terza volta in studio è stata molto divertente, perchè abbiamo iniziato a capire quanto sia importante la fase di mixaggio, come possono diventare le canzoni lavorandoci sopra dopo averle registrate. Ho portato a Rico tre cd per i suoni: la batteria dei Battles e dei Public Image Limited, il basso dei Jesus And Mary Chain, le chitarre dei Cocteau Twins, in particolare il singolo Peppermint Pig. E un cd degli In Camera per me bellissimo ma per Rico inascoltabile, come del resto tutti gli altri dischi. Altro, orecchie cresciute con altro tipo di musica.”
Lo stesso Alessandro ci parla di Aspetto, canzone per canzone.
Canzone di Andrea – È Matteo che si è messo a suonare un ritmo reggaeton mentre io stavo facendo la cover di Garlands dei Cocteau Twins.
Quadro A. – Prima di inziare a suonarla io dicevo una frase al microfono, una cosa tipo: “We throw out from the door but she came in by the window, bring us an unsuspectable inspiration!”. Era una cosa che avevamo ascoltato in un disco punk inglese a sedici anni io e Gianni. Ovviamente il pezzo punk non diceva questa frase, quella frase ce la siamo inventata. Ma era una frase tipo così, recitata. Finito di parlare la canzone partiva caotica. Forse era un pezzo dei Damned, o dei Chameleons, oppure un pezzo dei Mission…
Federico – Mi ricorda i Girls Against Boys, ma puliti.
Ramirez – Il testo di Ramirez è preso da una interrogazione di Gianni ad un suo studente, quando per un anno gli è capitato di fare il professore. Non sapeva niente tranne il sistema solare. Il sistema solare lo aveva studiato perchè era qualcosa che lo incuriosiva.
Smettere – Mi piaceva fare più di un pezzo acustico nel disco. Questa canzone mi ricorda i Red House Painters, ma cantati con astio. In testa avevo Dagger degli Slowdive.
Colpito – Chiude la prima parte del disco. Mi piacciono i cori che ricordano Pornography dei Cure. Il testo mi piace perchè parla di una persona che per farsi comprendere si paragona a una città.
Passato – Assieme a Quadro A. sono i singoli del disco. Mi ricordano i La Quiete.
Barnaba – È un pezzo fatto con Simone, ma non veniva niente. Quando è arrivato Matteo, è subito riuscito a trovare il tempo. Sta bene dietro Passato. La conclude.
31/12 – Il suono del basso è stato trovato ascoltando una canzone dei Jesus And Mary Chain. Rico l’ha modellato bene bene.
Chiuso – Questa canzone mi ricorda Never Talking to You Again degli Hüsker Dü.
Stefano – L’unica canzone che supera i tre minuti. Avevo sovrainciso quattro chitarre con accordi differenti, ma non si capiva niente. Come suono mi ricorda il caos di Canzone di Andrea. Qui le chitarre assordano. È molto shoegaze questo brano. Sembrano i Giardini Di Mirò, un bel concerto dei Giardini Di Mirò a Umbertide. Solo che la voce qui è strillata, punk, forte, supera tutto il resto. In cuffia rende molto l’atmosfera.
http://www.love-boat.org/bands/altro.htm